Deducibilità Rimborsi Chilometrici
Quando un lavoratore cambia temporaneamente luogo di lavoro per svolgere le sue mansioni si parla di trasferta lavorativa.
La trasferta di lavoro richiede il pagamento dei costi legati allo spostamento e al sostentamento del lavoratore dipendente, del collaboratore, dei soci e degli amministratori, i quali vengono poi coperti dall’azienda attraverso l’emissione di un’indennità chiamata rimborso chilometrico, da pagare in busta paga.
Per potersi chiamare trasferta, lo spostamento deve essere occasionale e temporaneo, dato che in caso contrario si parla di trasferimento fisso, e il mezzo utilizzato per la trasferta deve essere di proprietà del lavoratore, da lui noleggiato o di proprietà di un familiare e quindi in comodato d’uso.
Tutte le spese sostenute devono essere accuratamente riepilogate in un modulo chiamato nota spese, alla quale il lavoratore deve allegare tutti i documenti fiscali a sostegno della richiesta per ottenere il rimborso chilometrico.
Il rimborso chilometrico per le trasferte di lavoro e i viaggi aziendali viene corrisposto previo conferimento dell’incarico da parte del datore di lavoro, mentre il tragitto casa-lavoro non viene considerato una trasferta.
Il rimborso chilometrico ai dipendenti e collaboratori viene calcolato secondo determinate tabelle ACI, in cui sono contenuti i costi al chilometro per ogni modello di auto anche in base al periodo di utilizzo del veicolo per la trasferta.
L’impresa che deve emettere l’indennità di trasferta deve provvedere autonomamente a contabilizzare il rimborso chilometrico basandosi sui documenti fiscali forniti dai lavoratori e in alcuni casi potrà dedurre le somme corrisposte, le quali non vengono tassate al lavoratore.
Da oggi, tutte le aziende, grandi o piccole, possono dare un taglio netto alla contabilizzazione e al lavoro amministrativo legato ai rimborsi chilometrici adottando la carta carburante.
Uno strumento indispensabile come la carta carburante elimina la necessità di affidare bancomat e carte di credito, o contanti, ai lavoratori o agli autisti della flotta aziendale, e rende praticamente impossibile i pagamenti fraudolenti, semplificando la contabilità e fornendo direttamente sul vostro computer la fattura elettronica.
Le trasferte non sono tutte uguali
Il tipo di tassazione applicabile alla trasferta lavorativa dipende dalla località interessata.
Se le trasferte di lavoro avvengono all’interno del comune dove si trova la sede dell’azienda, i rimborsi chilometrici sono soggetti a tassazione perché considerati parte integrante del reddito.
Quando la trasferta di lavoro avviene fuori dal comune ove l’impresa ha la propria sede, allora il rimborso chilometrico non concorre a formare il reddito e quindi, in quanto non facente parte della base imponibile, non sarà soggetto a tassazione – se calcolato utilizzando come riferimento le tabelle ACI e documentato con apposite ricevute fiscali e scontrini.
Rispetto allo stipendio, il rimborso chilometrico viene dunque tassato in maniera diversa, sia per l’azienda che per il lavoratore.
Deducibilità del rimborso chilometrico per i lavoratori
Il rimborso chilometrico, come anticipato, non è considerato reddito imponibile per il lavoratore, in quanto si tratta di un’indennità corrisposta dal datore di lavoro per mansioni esercitate lontano dalla sede di lavoro abituale contrattualmente concordata.
Perché questo sia vero, è necessario che la trasferta avvenga fuori dai confini comunali: se infatti l’incarico viene espletato nello stesso comune in cui ha sede l’azienda, il rimborso andrà a sommarsi al regolare stipendio, rientrando a pieno titolo all’interno della base imponibile reddituale.
Il lavoratore subisce dunque un tipo di tassazione differente in base alla destinazione della trasferta da lui effettuata.
I costi deducibili riguardano sia l’utilizzo di un veicolo di proprietà del lavoratore, sia quello di un mezzo noleggiato appositamente per le trasferte di lavoro, dato che non tutte le aziende possiedono dei mezzi propri da offrire come fringe benefit. L’utilizzo di un auto aziendale per trasferte di lavoro è soggetto a regole differenti in termini di rimborsi e deducibilità.
Deducibilità dell’indennità di trasferta per l’azienda
Per quanto riguarda le imprese, dato che rientra tra le spese aziendali, il rimborso chilometrico è una spesa deducibile, sui quali importi non si deve dunque pagare l’IVA.
Tuttavia, esistono alcuni limiti alla deducibilità, che si applicano in base alla tipologia di veicolo utilizzato dal lavoratore.
Infatti, in base all’articolo 95 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, se tale mezzo ha un motore a benzina e supera i 17 cavalli fiscali, o se è alimentato a gasolio e supera i 20 CV, la deduzione finale sul rimborso chilometrico non potrà essere pari al 100%.
Questo vuol dire che l’azienda dovrà comunque rendicontare e in seguito conservare tutti i documenti riguardanti i rimborsi chilometrici in un apposito faldone o programma gestionale capace di archiviare tutto in modo ordinato e localizzabile in ogni momento sul computer.
Ecco un altro motivo per richiedere una carta carburante che elimina il costo dei rifornimenti dalla nota spese, dimezza il tempo impiegato per controllare la documentazione e invia la fattura elettronica in automatico ogni 14 giorni.
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Quante tipologie di rimborsi chilometrici esistono?
Esistono tre tipologie di indennità di trasferta disponibili in Italia e sono:
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Rimborso Forfettario
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Rimborso Analitico
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Rimborso Misto
Come suggerisce il nome, il rimborso forfettario prevede il pagamento di un’indennità di trasferta fissa, quindi non soggetta ai reali costi sostenuti dal lavoratore, stabilita dai contratti collettivi e variabile in base al fatto che la trasferta avvenga su suolo italiano oppure estero.
Con questo tipo di rimborso, le cifre corrisposte al lavoratore non sono soggette a tassazione – in quanto non facenti parte della base imponibile – fino a un limite fissato per legge a 77,46 euro quotidiani se il lavoratore si sposta su territorio internazionale, e a 46,48 euro su territorio nazionale fuori dai confini del territorio comunale, come specificato dall’articolo 51 comma 5 del D.P.R. numero 917/1986.
Questo tipo di rimborso viene anche chiamato indennità di trasferta giornaliera o diaria in quanto gli importi vengono fissati su base giornaliera a prescindere dall’effettiva durata della trasferta, che può essere anche inferiore a 24 ore. Tali importi coprono le spese di vitto e alloggio, che non necessitano di alcuna documentazione (niente scontrini, ricevute o nota spese), mentre i costi relativi alle spese di viaggio e trasporto vanno sempre rendicontati per ottenere il rimborso.
I limiti giornalieri fissati dal CCNL riguardano esclusivamente la tassazione degli importi per il dipendente, mentre per le aziende non c’è alcun limite di deducibilità: i rimborsi forfettari sono interamente deducibili in capo all’azienda. Per questi motivi, il rimborso forfettario è spesso il più semplice e veloce, ma non il più vantaggioso per i lavoratori.
Il rimborso analitico, o rimborso a piè di lista, è invece la forma di indennità di trasferta più comune che prevede l’indennità al lavoratore solo in base a quanto realmente da lui speso durante il viaggio e dimostrabile con scontrini, ricevute e altri documenti fiscali. La presenza di documentazione valida a giustificare ogni voce di spesa è indispensabile perché tali rimborsi, senza limiti di importo, non vengano considerati reddito per il lavoratore e di conseguenza non siano soggetti a tassazione.
Il citato articolo 51 comma 5 del D.P.R n. 917/1986 ammette la presenza nel rimborso forfettario anche di altre spese non documentate, le quali non sono soggette a tassazione fino a un massimo giornaliero di 25,82 e 15,49 euro per trasferte rispettivamente all’estero o in Italia.
Il rimborso analitico, da richiedere previa presentazione della nota spese da parte del lavoratore, comporta che qualcuno all’interno dell’azienda si occupi di contabilizzare le spese effettuate durante le trasferte lavorative dei diversi dipendenti per consentire all’azienda di emettere il corretto pagamento.
Per le imprese significa impiegare tempo e risorse che, utilizzando una carta carburante, sarebbero dimezzate senza alcun dubbio.
Infine, le soglie esenti da tassazione variano in caso di rimborso misto, cioè in parte analitico e in parte forfettario, per le spese di vitto, alloggio e trasporto.
Dato che per ricevere il rimborso benzina il lavoratore deve ottenere la fattura elettronica, si troverà costretto a utilizzare il proprio bancomat o carta di credito perché, al contrario dei contanti, solo i metodi di pagamento tracciabili danno diritto alle agevolazioni fiscali quali la deducibilità dei costi per l’acquisto carburante e la detrazione dell’IVA sugli stessi importi.
Se l’azienda utilizza una carta carburante per le trasferte di lavoro, il dipendente, il socio, l’amministratore o il collaboratore non dovranno più preoccuparsi del rifornimento e l’impresa non sarà costretta ad accumulare ricevute su ricevute per approvare il rimborso carburante.
Semplificare e ottimizzare con la fuel card
Da quando ha sostituito la scheda carburante, la carta carburante, anche nota come fuel card, si è subito dimostrata indispensabile per le piccole e medie imprese dando la possibilità di semplificare le operazioni di pagamento e gestione delle trasferte e dei viaggi aziendali.
Cosa fa una carta carburante?
Consente ai lavoratori di pagare il rifornimento del veicolo senza utilizzare contanti, con le stesse modalità di un bancomat e fornendo subito il riepilogo online e in automatico anche la fattura elettronica.
Attenzione a non confondere la carta carburante con le prepagate.
Le prime consentono il pagamento dilazionato attraverso bonifico bancario e inviano la fattura elettronica in automatico ogni 14 giorni, mentre le carte prepagate richiedono il pagamento immediato e non inviano la fattura elettronica in automatico ma soltanto seguendo un procedimento articolato.
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